Periodo
Agosto
/ Ottobre 1997
Dove
Tibet,
Himalaya
Cho
Oyu 82001 m
Rider
& Report
Emilio
Previtali [snowboarder]
Mission
-
Salita al Cho Oyu senza ossigeno
- Discesa in snowboard dalla cima
Slide
Show [Go]
English Resume [Go]
Links
|
|
E'
disponibile un programma di diapositive in
dissolvenza incrociata che racconta l'avventura
in snowboard al Cho Oyu.
Info:
emilio@freeridespirit.com |
Leggi
il racconto degli altri protagonisti della
spedizione 1997
Cho
Oyu 8202 m
La dea del Turchese
[Go] |
|
CHO-OYU
- 8201 METRI DI FREERIDING IN HIMALAYA |
Lâaereo
plana gradualmente verso terra, ogni tanto qualche ascendenza
tropicale scuote con forza la carlinga. Guardo curioso
attraverso il vetro del finestrino lo spettacolo grandioso delle
montagne Himalayane. Il monsone non ancora terminato, le
nuvole e la nebbia coprono in parte questa scenografia
straordinaria. Davanti a me alcune delle montagne pi alte
della terra, Tra poco atterreremo a Kathmandu. Non ci credo
ancora, ma la mia avventura Himalayana cominciata, sono in
Nepal. Quando i portelloni del
Boeing 747 della Pakistan Airlines si spalancano di
fronte a me, una vampata di calore umido mi avvolge. La strada
che nel traffico disordinato e rumoroso
conduce allâalbergo mi proietta in un mondo di rumori,
colori e odori che testimoniano la forza di vivere che ciascuno
in questa straordinaria citt deve possedere per continuare a
esistere. Sono qui con una spedizione alpinistica per scendere
in snowboard dalla vetta del Cho-Oyu, che con i suoi 8201 m
la sesta montagna pi alta della terra.
Un
paio di giorni a Kathmandu ci servono per sbrigare le ultime
formalit burocratiche prima di ripartire per Lhasa. Il Tibet, territorio controllato dal governo di
Pechino dopo lâinvasione del 1950, non pi un paese
libero, e non possibile muoversi a proprio piacimento. Un
ufficiale di collegamento imposto dal governo cinese ci
accompagner durante il nostro soggiorno.
Lasciata
Kathmandu alla volta di Lhasa, iniziamo il nostro viaggio di
avvicinamento al campo base. Siamo gi a 3600 metri, e
cominciamo piano-piano la nostra fase di acclimatamento, che
affineremo salendo gradatamente fino ai 4900 metri del campo
base cinese. Trascorriamo i primi dodici giorni risalendo in
camioncino poco alla volta la valle del fiume Brahmaputra,
fermandoci ogni un paio di giorni per visitare i numerosi
monasteri lungo la strada. Viaggiando attraverso il Tibet
indispensabile immergersi in una dimensione mistica particolare,
poich la vita di ogni abitante del luogo assolutamente
intrisa di spiritualit. Da occidentali siamo abituati a
pensare alla religione come ad una delle tante cose della nostra
vita. Se nella nostra concezione spesso la religione qualcosa
di occasionale e marginale, presente solo in attimi particolari
della nostra vita come la morte di un amico, il matrimonio o la
nascita di un bambino, per un tibetano ogni momento della vita
intriso di spiritualit. Lâintera esistenza dominata da
un assoluto progetto spirituale.
Visitando
monasteri e piccoli vilaggi, raggiungiamo Tingri a 4300 metri,
ultimo centro abitato prima del salto definitivo verso la nostra
montagna. Parlare di centro abitato in realt un poâ
esagerare, visto che si tratta principalmente di un villaggio di
nomadi che vengono a vendere la carne di capra e di Yak a chi
come noi si appresta a rimanere per circa quaranta giorni tra le
montagne senza fare ritorno a valle. Esiste anche un lodge
tibetan style, lâEverest ed Himalaya Hotel dove noi
alloggeremo per un paio di notti prima di partire per il campo
base. Per avere un idea dello stile e della pulizia del luogo,
basti dire che le latrine non hanno tetto· Le nuvole basse e
la pioggia battente ci consentono raramente di vedere
lâEverest ed il Cho-Oyu, che rimangono nascosti tra le nubi ai
bordi dellâaltopiano tibetano.
Eppure in linea dâaria a non distano pi di una
trentina di kilometri da noi.
Lâotto
di settembre, dopo aver risalito a piedi per circa quaranta
kilometri lâimmensa morena del Gyarag Glacier, raggiungiamo
quello che sar il nostro campo base avanzato, a 5600 metri. I
pastori del luogo hanno organizzato il trasporto del nostro
materiale in groppa ai loro yak, i tipici animali da soma
himalayani. Si tratta di animali straordinari, in grado di
trasportare un centinaio di kili di carico sulla propria groppa
fino a quote di 5000 - 5500 metri. Sono animali forti come
tori, resistenti come un muli e capricciosi come un gatti
viziati. A volte
i pastori sono
costretti ad inseguimenti rocamboleschi per riuscire a
scaricarli della loro soma. Dopo tanto lavoro
ho ricavato in mezzo alle grosse pietre di questo posto
assolutamente inospitale un paio di metri quadrati in piano per
poter montare la mia tendina. Siamo al campo base avanzato, ai
piedi della nostra montagna. Abbiamo montato anche una grossa
tenda comune dove mangeremo e vivremo nei prossimi trenta
giorni. Ogni tanto, uno squarcio di azzurro nel cielo mi
consente di vedere la vetta del Cho-Oyu, imponente e massiccia
di fronte a me, molto pi in alto di dove tra le nubi del
monsone me lâero immaginata. Al mio fianco, anche loro
incantati e un poâ intimoriti,
i miei compagni alpinisti. Complessivamente siamo
diciannove persone, compresi i due medici.
Ciascuno
di noi culla tra i suoi sogni un progetto particolare. Giacomo
Scaccabarozzi, vorrebbe
scendere dalla cima
in parapendio. Altri quattro
hanno portato gli sci.
Io lo snowboard. Agli occhi delle altre numerose
spedizioni presenti noi siamo il gruppo pi originale, con il
nostro progetto forse un poâ troppo ambizioso. Vedremo nei
prossimi giorni cosa saremo capaci di fare. Intanto, col passare
del tempo, il lavoro di allestimento dei campi e la fase di
acclimatamento procedono positivamente.
Ci che pi importa in questa
fase di preparazione della salita, raggiungere una
condizione di forma ottimale. Si tratta in sostanza di
consentire al nostro organismo di rispondere allo stress
dellâalta quota e della carenza di ossigeno producendo un
numero maggiore di globuli rossi. E Îuna fase molto delicata a
cui ciascuno deve sottoporsi salendo e scendendo continuamente
con criterio lungo la montagna,
rispettando una graduale progressione che ci consenta di
ridurre al minimo i rischi di edema polmonare e cerebrale. Nei
giorni scorsi Passang, il nostro cuoco sherpa stato colpito
da edema cerebrale stato salvato grazie allâintervento
tempestivo di Louis Burgoa, il nostro medico ed allâuso della
sacca iperbarica gonfiabile che abbiamo con noi.
Quando
i campi 1, 2 e 3 sono montati, dopo vari giorni di duro lavoro
collettivo di andirivieni su e gi per la montagna, bisogna
attendere alcuni
giorni in
modo che
la neve
abbondantissima che scesa nella scorsa settimana si
stabilizzi un poco. Il tempo ora sta diventando decisamente pi
bello e stabile. Gli ultimi colpi di coda del monsone si fanno
sempre pi rari e deboli. Ora attendiamo giorni di sereno,
sperando che il vento ed il freddo dellâinverno arrivino il pi
tardi possibile, lasciandoci qualche giorno di tempo buono per
la salita. Io per parte mia, dopo aver dedicato le scorse salite
per caricare ai campi alti il materiale collettivo come cibo,
bombole di gas, sacchi a pelo, indispensabili alla vita in alta
quota, mi dedico al trasporto del mio materiale personale ed in
particolare dello snowboard. Fino al campo 2 procedo tenendolo
in spalla ancorato allo zaino, poi lo sforzo si fa sentire, e
comincio a trascinarlo dietro di me nella neve.
Giacomo
il primo del nostro gruppo a raggiungere la vetta. Nonostante
non fosse nei suoi programmi tentare la cima (infatti non ha la
vela del parapendio con se), approfitta di una giornata di tempo
nuvoloso ma con calma di vento per sferrare lâattacco finale .
Un gruppo di ragazzi francesi con cui divide lo sforzo di
battere la pista sono lo stimolo giusto a insistere. Nel tardo
pomeriggio in vetta. Davanti ai suoi occhi la cima
dellâEverest, cos vicina quasi da poterla toccare. Lo
incontro il giorno seguente durante la discesa, e mi racconta
con parole che escono dalla sua bocca con esasperante lentezza
della salita. Eâ stanchissimo e non vede quasi niente, perch
il bagliore della luce lo ha accecato mentre in vetta senza
occhiali fotografava ogni
montagna intorno.
Capisco lo
sforzo straordinario che deve aver compiuto, perch in
vita mia non credo di aver mai visto nessuno cos esausto. Nei
giorni immediatamente a seguire altri tre di noi raggiungeranno
la cima, seppur abbandonando da subito il progetto iniziale di
scendere con gli sci. Sono Giorgio Cemmi, Marco Perego e
Marco Anghileri.
Ora
il tempo si messo decisamente al brutto, con freddo e vento
fortissimo. Da alcuni giorni nessuno riesce a raggiungere la
cima. La cattiva stagione sembra ormai arrivata. Il 23
settembre, dopo vari tentativi, decido che domani prover ad
andare in cima per lâultima volta.
Ho raggiunto il campo alto nel pomeriggio; ora non mi
resta che continuare a bollire acqua per il t, e bere molto,
nel tentativo di recuperare energie per domani. Oltre i
settemila metri ogni azione diventa di un impegno incredibile,
ed anche la pi stupida delle cose da fare richiede un infinit
di tempo e di concentrazione. Il vento fortissimo fa sbattere i
teli della tenda e crea un rumore assordante. Dubito che domani
si potr raggiungere la cima. Inoltre le dita del piede
sinistro sono insensibili da un poâ, e questo decisamente
un cattivo segno. Mi addormento a fatica, e vedo in sogno il
film di me felice in vetta al Cho-Oyu. Ma allâalba del giorno
seguente il vento rinforza ancora. Per ăonor di firmaä,
sballottato da un vento gelido, tento comunque di spingermi
verso lâalto. Poi, quando il freddo ai piedi si fa
insostenibile ed il vento cos teso da aver paura, ogni serie
di passi interrotta dal pensiero di girarmi e scendere.
Sono
le undici e trenta del mattino del 24 settembre. Appoggiato sui
bastoncini telescopici che punto sotto le ascelle ogni cinquanta
passi, guardo imbambolato le punte dei miei scarponi. Da dietro
la maschera che protegge i miei occhi delle luce accecante, la
vita scorre con sconfortante lentezza. Avanzo prima una gamba e
poi lâaltra, intervallando ogni passo con sette - otto respiri
profondi. Rifletto, per quel poco che con cos poco ossigeno
sia possibile fare, sulla semplicit del mio progetto. Il vento
maltratta la mia tavola da snowboard che ho legato in vita,
facendola volare in giro come un aquilone. Sono qui per salire
in cime a questa montagna e ridiscendere a valle scivolando di
traverso sulla mia tavola, nel pieno rispetto delle pi
semplice voglia di snowboard. Qui, dove ogni azione per natura complessa e difficile da
realizzare, quasi mi vergogno di desiderare qualcosa che da casa
sembrava tanto semplice e che qui ora mi pare impossibile.
Mi chiedo se riuscir ad andare in cima?
Sfinito riparto ancora, per i prossimi quindici o venti
passi su questo pendio che non finisce mai. Poi mi fermer di
nuovo e riprender e pensare.
LâHimalaya
mi fa paura; tutto cos grande, tutto cos esasperatamente
distante e lontano nel tempo. E poi manca lâossigeno. Avverto
per la prima volta nella mia vita la sensazione di essere
realmente ai confini delle terra. Sopra di me il cielo quasi
nero, e manmano mi alzo di quota capisco di essere immerso
nellâinfinito dellâuniverso. Sono al bordo pi esterno del
pianeta. Ora, vicino agli 8000 metri, sento di appartenere pi
allo spazio cosmico che non alla terra. Intorno a me si muovono
tutte le forze dellâuniverso. Mi sento veramente una
microscopica formichina in un mondo che mi pu rotolare addosso
e spiaccicare in una frazione di secondo senza la minima scossa.
Sto
sputando sangue. Nel vero senso delle parola, la gola secca
ed ulcerata. Qualcosa dentro di me funziona male. Ho paura di
andare troppo avanti, tre le mie montagne saprei farmi forza e
vendere cara la pelle, giocare ogni carta per vincere la
partita. Come un vecchio maestro Zen, vorrei saper compiere ogni
azione senza conoscere la paura. Ma qui sono un perdente.
Rischio di morire di sfinimento e di freddo banalmente seduto
nella neve su un costone esposto al vento.
Ormai
ho deciso, scender. Non posso permettermi di perdere altre
energie inutilmente e rischiare di non riuscire a compiere la
discesa in snowboard che rimane il mio obiettivo principale. Non
scender della cima, ma posso anche accontentarmi. Mettersi lo
snowboard ai piedi richiede uno sforzo tale che sto per
vomitare. Mi chiedo cosa mai potr combinare quando dovr
curvare. Raddrizzarsi sulle gambe con entrambi i piedi fissati
sullo snowboard e lo zaino in spalla richiede uno sforzo cos
grande che una volta compiuto sono costretto a sedermi
nuovamente per riposare. Poi, finalmente si scende. Primo
tentativo di curva e cado. Secondo tentativo e ricado di nuovo.
La neve alta e crostosa, io non riesco a calmare e
controllare il respiro. Raccolgo tutte le mie forze, cerco di
ricordare le cose che dico ai miei allievi principianti quando
faccio scuola. Riprovo ancora e finalmente le cose cominciano a
funzionare; dopo due o tre curve un poâ goffe, mi fermo di
nuovo a riposare. Sembra impossibile ma le tracce che vedo su
questo gigante di neve e ghiaccio sono proprio le mie. Mi sento
libero. Dopo un primo pendio attraverso una fascia con delle
rocce usando una corda fissa, poi un lunghissimo tratto aperto e
ripido verso il campo due. Con grinta e determinazione crescente
scendo verso il basso, concatenando una decina di curve per
volta. Poi sono costretto a fermarmi per respirare, mentre
ansimo come una pornostar. Per la prima volta da quando sono
impegnato su questa montagna ho la sensazione di velocit e
dinamismo. Mentre scendo incrocio sulla traccia qualche
alpinista in salita, che sbalordito mi saluta con la mano. Un
coreano urla di gioia mentre gli passo accanto. Il primo seracco
mi impegna abbastanza, ma riesco a scendere con la tavola
ai piedi. Incontro
degli alpinisti intenti a risalire sulle corde fisse, il terreno
piuttosto ripido in questo tratto. Poi ancora un lunghissimo
tratto decisamente meno ripido con neve straordinaria, un nuovo
seracco verticale di circa trenta metri dove sono costretto a
calarmi in doppia e poi ancora i lunghi e mossi pendii che
conducono al campo 1; la discesa mi costata uno sforzo
grandissimo, una volta al campo non riesco pi a respirare,
sono sfinito. Uno dei miei compagni che al campo 1 ed
impegnato a ritrarsi con lâautoscatto tappezzato di adesivi
dei suoi sponsor, non fa nemmeno la mossa di infilare gli
scarponi e venirmi incontro, ma questa un'altra storia·
Impiego una buona ora per ritornare ad una respirazione
quasi normale, poi scatta una modesta ma felice genuina festa in
quota con gli amici Sloveni, Russi e Koreani.
Ormai fatta, ho realizzato un sogno che nessuno potr
portarmi via. Solo il vento canceller le mie tracce.
Tre
giorni dopo, conscio di non avere tempo sufficiente per un nuovo
tentativo alla cima e desideroso pi di fare snowboard su
qualche bella linea, piuttosto di camminare per lâennesima
volta sulla via normale, mi invento qualcosa da fare.
Determinato e concentrato, decido di salire con picca e
ramponi sullo spallone ovest del Cho-Oyu, su una fantastica
parete che attrae il mio sguardo come ipnotizzandomi dal giorno
dellâ arrivo su questa montagna. Sotto la sezione terminale
della cresta ovest, circa a quota 7000, una parete ghiacciata di
circa 600 metri a 50-55Ą si stende ripida e regolare proprio di
fronte al campo 1. Il pendio cos ripido che mentre salgo a
tratti dubito della sensatezza del mio progetto. Mentre rimango
saldamente ancorato alle due picche che sto usando in piolet
-traction, cerco di immaginarmi se sar possibile curvare. La
neve sopra il ghiaccio sembra perfetta, e la mia condizione di
acclimatamento ormai ottima, la quota non mi fa pi cos
paura. Appena sotto la cresta rocciosa, scavo con la piccozza
una piccola piazzola per prepararmi alla discesa. Il pendio
cos ripido che se dovessi cadere finirei senza potermi fermare
cinquecento metri pi sotto, cerco di muovermi con super
cautela . Di fronte a me, seduti dallâaltra parte della valle
come davanti alla televisione, a mezzo kilometro in linea
dâaria, i miei amici mi osservano. Li sento vicini,
so che partecipano con ansia al mio desiderio di scendere
da quel muro ghiacciato. Nei loro cuori sono senzâaltro
qualcosa in pi di un piccolo puntino scuro che possono a
malapena considerare nellâimmenso di quella parete bianca.
Quando hai intorno gente speciale, facile coinvolgere gli
altri nei tuoi sogni. Eâ facile sentire la forza di chi
capisce che stai rischiando qualcosa, ma rimane comunque
entusiasta del tuo progetto senza fare troppe domande. Mi piace
ricordare che quel giorno Eric Escoffier e Giacomo Scaccabarozzi
mi guardavano scendere godendo con me ad ogni curva riuscita.
Moriranno nello stesso giorno un anno dopo, uno verso la cima
del Broad Peak e lâaltro a pochi chilometri da casa sua in
Brianza con il parapendio. Destino bastardo.
Dopo
la prima curva, che sempre la pi difficile, le altre si
susseguono fluide. Mi sento come ipnotizzato, poche volte in
vita mia ho assaporato con questa forza la sensazione di essere
padrone del mio destino. Respiro finalmente a pieni polmoni
lâaria sottile che avvolge questa montagna. Eâ la prima
volta che mi sento in grado di difendermi dalla forza di questa
montagna e controattaccare. Da in fondo alla parete, guardo le
mie tracce di discesa. Rimangono a testimonianze del mio
passeggio degli incredibili disegni sul ripido muro bianco. Ora
sono felice.
Non
sono stato in vetta al Cho Oyu ma ora so che per me che sono
freerider prima che climber, va bene cos. Ritorner. Salire
un gigante Himalaiano per un alpinista come entrare in scena
nel sogno ripetuto centinaia di volte nellâarco di una vita.
In qualche modo come raggiungere la perfezione, il punto pi
lontano nello spazio riservato alle proprie aspirazioni. Per chi
come me ha vissuto una spedizione ad uno dei 14 ottomila della
terra da snowboarder pi che de alpinista, la perfezione non
esiste. Perch nella mia visione della montagna non esistono
solo linee
verticali che
tendono alla
cima, unica
ed inequivocabile. Non esiste il giusto e lo sbagliato,
la cima o il fallimento. Lâalpinismo un gioco in cui non
câ premio per il secondo classificato. Essere snowboarder,
sentirsi freerider come filosofia di vita significa invece
svincolare la propria gratificazione
personale da
una dimensione strettamente sportiva, dominata de regole
bidimensionali: giusto o sbagliato, successo o fallimento, gioia
o dolore. Sentirsi freerider significa spaziare
tridimensionalmente in ciascuno dei momenti della proprie
esistenza. Ed ecco che allora puoi essere il pi felice degli
uomini, gioendo semplicemente del colore del cielo, quasi nero a
ottomila metri. Oppure
il pi triste, semplicemente perch i bambini incontrati per
le strade del Tibet smettono di sorridere e ti voltano le spalle
quando capiscono che non hai pi nulla da regalare. Oppure
sentirti forte e libero quando, guardando una delle pi belle
montagne del mondo, vedi le tue traccie lasciate in snowboard,
su pendii dove tutti pensavano fosse impossibile fare snowboard.
Allora una forze straordinaria si
impadronisce di
te, anche se
stato
impossibile salire in vette come volevi. In fondo ci che conta
non la meta, ma il cammino che ci porta ad essa.
Emilio
Previtali
Team
Cho Oyu Expedition 1997
Gruppo Alpinistico Gamma -
Lecco
Giacomo
Scaccabarozzi - [summit]
Emilio
Previtali
Marco
Airoldi
- [summit]
Marco
Anghileri
Luis
Burgoa
Giorgio
Cemmi -
[summit]
Marco
Corti
Andry
DellâOro
Siro
Faustinoni
Claudio
Ghezzi
Pietro
Isacchi
Eugenio
Manni
Claudio
Mastronicola
Ulderico
Mazzoleni
Marco
Perego
- [summit]
Anouk
Tanchis
Alberto
Valsecchi
Alberto
Varni
|